Le streghe di Manningtree di AK Blakemore

a cura di Roberto Fiorini

 

Inghilterra, 1643.
Il Parlamento combatte contro il re, la guerra civile infuria, il fervore puritano attanaglia il Paese e il terrore della dannazione brucia dietro ogni ombra.
A Manningtree, una cittadina della contea dell’Essex privata dei suoi uomini fin dall’inizio della guerra, le donne sono abbandonate a se stesse.
Soprattutto alcune di loro, che vivono ai margini della comunità: le anziane, le povere, le non sposate, quelle dalla lingua affilata.

Il primo romanzo di AK Blakemore è un resoconto romanzato dei processi alle streghe dell’Essex e, sebbene trabocchi di un linguaggio di sorprendente bellezza, sa parlare chiaramente quando deve.
Premiato in Inghilterra come miglior esordio dell’anno, è sostenuto da una scrittura stilisticamente perfetta e pervaso da atmosfere vivide e reali.

Le streghe di Manningtree di AK Blakemore edito Fazi con la traduzione di Velia Februari si avventura in luoghi oscuri ma lo fa con una lingua di una bellezza irresistibile.

Incontriamo Rebecca West nel bel mezzo dei primi scontri della guerra civile inglese.
Sua madre, conosciuta come Beldam West, è una vedova con una passione per il bere.
Rebecca deve condividere con la madre il meschino alloggio e la macchia del discredito, e non riesce ad accettare le ristrettezze della sua esistenza, non è priva di risorse.
Sono utile – dice di se stessa – ho imparato a guardare e ad ascoltare”.
In un luogo dove i legami affettivi di vicinato sono condizionati dalla fame e dal sospetto, Rebecca talvolta riesce a trovare un’accoglienza calorosa.
In chiesa però lei e la madre devono sedersi in fondo, da lì comunque può osservare le paesane che altrove la denigrano, percependo le loro “emanazioni di profumo di acqua di rose, grumo di utero, sudore e cenere“.

Finché, a scombussolare una quotidianità scandita da malelingue e battibecchi, in città non arriva un uomo: Matthew Hopkins, il nuovo locandiere, che si mostra fin dal principio molto curioso.
Il suo sguardo indagatore si concentra sulle donne più umili e disgraziate, alle quali pone strane domande
Ma Rebecca si avvicina con prudenza e sospetto.
La sua attenzione infatti si è posata – fatalmente, si scoprirà – su un giovane studioso dai modi gentili di nome John Edes.

Gli abitanti della città non sono tutti fanatici, ma trovano il fanatismo di loro gradimento.
E quando un bambino viene colto da una misteriosa febbre e inizia a farneticare di congreghe e patti segreti, le domande assumono un tono sempre più incalzante.

Le streghe di Manningtree è la storia di una piccola comunità lacerata dalla lenta esplosione del sospetto, in cui il potere degli uomini è sempre più illimitato e la sicurezza delle donne sempre più minata.
Una strega “è solo la loro brutta parola per descrivere chiunque faccia accadere le cose“.
Ma è anche la parola per etichettare ogni donna che vive come vuole, o semplicemente è fuori dalle schemi.

Matthew Hopkins, si fa chiamare Generale Cacciatore di Streghe, e presto intrappola la stessa Rebecca.
La trova degna di un’attenzione particolare nelle sue ricerche.
Ciò che segue decido di non svelarlo.

La storia si avventura in luoghi oscuri e la scrittura incastona ogni pagina quasi fossero poesie, impegnando il lettore dedito alla sottolineatura delle parti piu’ belle del romanzo, a consumare la propria matita fino a diventare un mozzicone.
Le donne raccontate sono ferocemente vive e in qualche caso deliziosamente oscene.
Una trama ricca di trame, un libro che appartiene ai perseguitati.
E su tutte  le pagine, in tutta la loro gloria ordinaria, a quelle donne è finalmente permesso di vivere.

L’autrice mostra, con agghiacciante familiarità, come il desiderio istintivo di incolpare gli altri nei momenti di difficoltà porti le persone a rivoltarsi contro i poveri e gli emarginati.

La narrazione si alterna tra il racconto in prima persona di Rebecca West e una prospettiva in terza persona che trasforma i lettori in testimoni.
La voce di Rebecca mentre narra i destini delle donne sotto processo per stregoneria è luminosa.
Una storia coinvolgente.

Un romanzo talvolta sconvolgente che cattura in maniera indimenticabile la vergogna della povertà e dell’abbandono sociale e l’intrigante minaccia costituita dalle donne lasciate sole, ma unite, in una storia che trasporta il lettore nel mondo di coloro che la storia ha cercato di rendere muti.
Una storia ispirata a eventi reali di quattrocento anni fa – le fonti primarie sono sparse ovunque – ma con una narrazione sembra attuale e vitale e per questo ancora più visceralmente sconvolgente.

Un romanzo storico?
Assolutamente no, un romanzo che fa respirare il passato con un’accattivante ferocia di linguaggio, con personaggi abilmente descritti e immagini spettrali che raccontano una storia che non riuscivo a smettere di leggere nonostante il temuto finale che sapevo di dovermi aspettare.

Ma il passato respira nelle pagine di questo bellissimo romanzo per ricordarci che il momento presente è una continuazione del passato.
Siamo qui perché c’eravamo.
O forse siamo ancora lì.

 

© Riproduzione riservata

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