“Venivano prese di mira alcune persone”: i motivi della chiusura del WhyNot¿

Gianni Redi: "La cosa che più dispiace è che nella maggior parte dei casi erano ragazzi molto giovani a schernire"

In molti sono rimasti dispiaciuti alla notizia che WhyNot¿ Arezzo, il party arcobaleno che da quattro anni si svolgeva presso la discoteca Class 125, ha chiuso la stagione in anticipo. Soprattutto, è la motivazione accennata dagli organizzatori ad aver lasciato l’amaro in bocca: violenza verbale contro persone LGBT+.

Ma cosa è successo esattamente? Quali motivi hanno portato alla chiusura dell’evento che, inaugurato nel 2019, era giunto alla 12esima stagione? ArezzoWeb Informa ha avuto modo di approfondire la questione con Gianni Redi, referente di WhyNot¿ Arezzo e consigliere Chimera Arcobaleno Arezzo.

WhyNot¿ era un contesto all’insegna del divertimento e della libertà. La paura non vi trovava alcuno spazio. Cosa è successo nell’ultimo periodo?

«WhyNot¿ è sempre stato una serata aperta a chiunque. Oltre alla nostra comunità, in oltre 10 edizioni, c’è sempre stata anche una “parte alleata” diciamo, che ha sempre partecipato volentieri a quel clima di festa. Tuttavia negli ultimi due anni, soprattutto lo scorso autunno, ci sono stati molti ingressi di persone diverse, che “ci tenevano” a sottolineare quanto tutto ciò per loro fosse ridicolo, da schernire, denigrare».

Si è trattato di persone specifiche o il fenomeno era più generale?

«Più la seconda. In generale erano, come dico sempre io, i classici “bravi ragazzi e ragazze”. Che magari presi singolarmente non manifestano alcun comportamento negativo ma che se invece si trovano assieme al “gruppo” cambiano. Iniziano a diventare aggressivi, strafottenti, e vige così la così detta “legge del branco”».

In cosa consisteva la loro violenza verbale?

«In prese in giro, commenti fuori luogo, battute “da spogliatoio” per sminuire. Bastava poco a volte, anche solo che due ragazzi si baciassero in pista. Venivano prese di mira alcune persone maggiormente. Ad esempio quelle che avevano un abbigliamento un po’ fuori dalla norma. A causa di questo, alcuni di noi avevano iniziato a non venire più alle serate. Per paura di venir bersagliati. Abbiamo quindi dovuto prendere atto della cosa per capire come risolverla. Comprendendo però che non era semplice, l’unica via che ci è sembrata opportuna è stata quella di mettere un punto provvisorio a WhyNot¿».

Definiresti “omofobia” quel tipo comportamento negativo?

«Più che omofobia a mio parere è una mancanza: di educazione al rispetto, alle differenze. E’ incapacità di condividere uno spazio con soggettività diverse senza recargli danno. Non avviene solo nelle nostre serate, per carità. Solo che WhyNot¿ è sempre stato un ambiente più protetto, diciamo, e quindi fa più specie che succeda. Queste persone vengono a fare queste cose addirittura in “casa nostra”».

Qual è l’auspicio ora? Cosa ti aspetti che smuova la provvisoria chiusura di WhyNot¿?

«Spero che sia un segnale forte per una crescita ed una consapevolezza diversa da parte dei giovani. Perché la cosa che più dispiace è che, nella maggior parte dei casi, erano ragazzi molto giovani a schernire. La generazione che dovrebbe essere un po’ più aperta è stata in realtà quella che ci hanno creato problemi. L’auspicio quindi è che questi ragazzi e ragazze possano capire davvero di aver sbagliato. Vorremmo poi che questo cambiamento passasse pure dalle istituzioni locali, perché se non si creano progetti di sensibilizzazione e educazione sarà sempre peggio. Si andrà verso una generazione che pensa che la maleducazione o la prevaricazione sia un modello giusto, da seguire».

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