Disinformazione, incitamento all’odio: cosa succede dal 25 agosto con il Digital Service Act

Da oggi, venerdì 25 agosto, il “Digital Service Act” inizia ad dispiegare i suoi effetti. Ne parlano veramente tutti. Ma di cosa si tratta nello specifico? Quali cambiamenti apporterà al mondo digitale europeo?

Cos’è il Digital Service Act

Il Digital Service Act è un Regolamento Europeo (Regolamento UE 2022/2065 sui servizi digitali). Per alcuni articoli è già entrato in vigore lo scorso 16 novembre 2022. Tuttavia la maggior parte cominceranno ad essere applicabili solo non dal prossimo 17 febbraio 2024. Nasce come emendamento atto ad “aggiornare” la vecchia direttiva europea sul commercio elettronico, ovvero la 2000/31/CE. Il Digital Service Act infatti ne mantiene i principi fondanti, ma ne integra e sostituisce diverse parti riguardanti l’armonizzazione delle attività di prestazione transfrontaliera di servizi digitali nel mercato unico europeo.

A chi è rivolto e qual è il suo scopo

Il Digital Service Act è rivolto ai “fornitori di servizi digitali”, quelli che tecnicamente vengono chiamati con l’espressione astrusa “prestatori di servizi intermediari delle Società di Informazione”. Chi sono? Banalmente tutti quegli agenti che permettono a noi europei di usufruire di servizi legati al trasporto e alla conservazione di informazioni digitali: dai servizi che facilitano la connessione o la condivisione di reti internet, a quelli di memorizzazione come il cloud o il web hosting, fino a quelli di condivisione e pubblicazione di contenuti online. Fra i fornitori di servizi digitali rientrano ovviamente anche i fornitori di piattaforme online e i motori di ricerca.

Lo scopo del Digital Service Act è “responsabilizzare” tali fornitori obbligandoli a tutta una serie di comportamenti a seconda della situazione, del tipo di servizio fornito e della dimensione su scala europea che tale servizio raggiunge. La giustificazione di questa “responsabilizzazione” risiede nella protezione da quelli che a livello europeo sono stati definiti “rischi sistemici” negli ambiti della libertà di espressione e di informazione.

Cosa succede dal 25 agosto 2023

Da oggi, venerdì 25 agosto, il Digital Service Act si applica per 19 grandi piattaforme online, tra cui AliexpressAmazon StoreApp StoreBingBookingFacebookGoogle MapsGoogle PlayGoogle SearchGoogle, Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, X, l’ex Twitter Wikipedia, Youtube e Zalando.

Secondo il Digital Service Act infatti, le grandi piattaforme online come Facebook e i motori di ricerca come Google potrebbero venir utilizzati in modo indebito, ad esempio per influenzare il dibattito politico su certe tematiche e l’opinione pubblica. Dunque, da oggi, li vincola ad “analizzare” i rischi sistemici che potrebbero derivare:

  • dalla progettazione, dal funzionamento e dall’uso dei loro rispettivi servizi;
  • dai potenziali abusi da parte dei destinatari dei servizi come la creazione di account falsi, l’uso di bot o altri usi ingannevoli di un servizio, altri comportamenti automatizzati o parzialmente automatizzati che possono condurre alla rapida e ampia diffusione al pubblico di informazioni che contribuiscono alle campagne di disinformazione.

Nel condurre le analisi, il Digital Service Act impone alle grandi piattaforme di tenere in considerazione l’impatto potenziale e la probabilità che si verifichino in particolare quattro categorie di “rischi sistemici”:

  • rischi connessi allo spargersi di contenuti illegali, come materiali pedopornografici o alla diffusione di forme illegali di incitamento all’odio o altri tipi di abuso dei loro servizi per commettere reati, e lo svolgimento di attività illegali;
  • effetti reali o prevedibili del servizio sull’esercizio di diritti fondamentali come la dignità umana, la libertà di espressione e di informazione, compresi la libertà e il pluralismo dei media, il diritto alla vita privata, la protezione dei dati personali, il diritto alla non discriminazione, i diritti del minore e la tutela dei consumatori;
  • effetti negativi reali o prevedibili sui processi democratici, sul dibattito civico e sui processi elettorali, nonché sulla sicurezza pubblica;
  • preoccupazioni relative alla progettazione, al funzionamento o all’uso, anche mediante manipolazione, delle piattaforme online e dei motori di ricerca online, con ripercussioni negative, effettive o prevedibili, sulla tutela della salute pubblica e dei minori e gravi conseguenze negative per il benessere fisico e mentale della persona o per la violenza di genere.

Una volta condotta tale analisi, il Digital Service Act obbliga le piattaforme ad implementare misure concrete per ridurre i rischi sistemici, in virtù della tutela dei diritti fondamentali.

La “disinformazione”

Il punto che sta facendo discutere è quello relativo alla “disinformazione”. Il Digital Service Act infatti, stabilisce che le grandi piattaforme online dovrebbero anche concentrarsi sul modo in cui i servizi prestati vengono usati per diffondere e amplificare contenuti descritti come fuorvianti o ingannevoli, che di per sé non sono illegali, ma che secondo i promotori della legge giocano un ruolo importante nel generare i rischi sistemici. Nello specifico dovrebbero quindi anche prestare attenzione alla “disinformazione” e al modo in cui questa può finire per danneggiare società e democrazia. Tuttavia il Digital Service Act non definisce cosa sia la “disinformazione”.

Per fare ciò e per prevenire i rischi, secondo il Digital Service Act i grandi players del mercato digitali devono:

  • prendere in considerazione l’attuazione di “azioni di sensibilizzazione”, senza però specificare cosa questo significhi;
  • sia nella fase di analisi che di messa a punto di misure di attenuazione, coinvolgere rappresentanti dei destinatari dei loro servizi, rappresentanti dei gruppi potenzialmente interessati dai loro servizi, esperti indipendenti e organizzazioni della società civile;

Inoltre:

  • attrezzarsi a mettere in corsia preferenziale quanto portato alla loro attenzione dai “segnalatori attendibili”;
  • dotarsi di una funzione interna di controllo della conformità;
  • presentare una relazione annuale;
  • interfacciarsi con la Commissione europea;
  • rispondere, attraverso revisioni ad opera di terzi indipendenti, della loro conformità al Dsa e, se del caso, agli impegni supplementari assunti a norma di codici di condotta.

Le critiche

Le maggiori critiche rivolte ai meccanismi messi in moto dal Digital Service Act riguardano l’attendibilità delle decisioni su ciò che costituirebbe disinformazione o meno. Secondo certi commentatori c’è il rischio che attraverso alcuni articoli del Regolamento UE possano venir imposte limitazioni di natura prettamente politica alla libera circolazione di quelle che in realtà sono normali informazioni. In questo modo verrebbe deciso cosa è vero e cosa è falso, non però sulla base di fatti ma degli scopi politici di organismi sovranazionali.

Un’altra critica analoga riguarda il nascente Comitato Europeo per i Servizi Digitali. Tale Comitato, per il momento definito come “gruppo consultivo indipendente composto da coordinatori dei servizi digitali rappresentati da funzionari di alto livello”, avrebbe il compito di stabilire le regole per la pubblicazione di informazioni. Tuttavia non sono pochi a far notare che sarà guidato dalla Commissione Europea, un organo politico, e dunque a metterne in discussione l’indipendenza e l’imparzialità.

Preoccupa poi il Considerando 91 del Digital Service Act, laddove di si dice che “in caso di crisi” potrebbe essere necessario “adottare con urgenza determinate misure specifiche”. Secondo alcuni ciò potrebbe venir usato dalla Commissione Europea per imporre alle piattaforme un adattamento dei meccanismi di moderazione dei contenuti, in favore, anche in termini di risorse, dei così detti debunkers, presunti “segnalatori attendibili” che avrebbero capacità e competenze per individuare, definire e segnalare contenuti illegali.

Infine, suscita preoccupazione il fatto che, in caso di emergenza, l’UE potrà richiedere alla piattaforme l’adozione di quelle “misure di sensibilizzazione”, così come la promozione di “informazioni affidabili”.

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