Pci Toscana: manifestazione Pro Gaza il 7 giugno, un pò tardi..

Svegliarsi tardi è spesso più facile che svegliarsi per tempo, o essere già svegli, misurandosi senza indugio con tutte le difficoltà del caso.

È sotto gli occhi di tutti quale, da subito e da sempre, sia l’esito di qualsiasi critica mossa per tempo alla politica criminale di Israele.

50.000 bambini trucidati, scuole e ospedali ripetutamente bombardati, 219 giornalisti uccisi, aiuti internazionali alla popolazione di Gaza ostacolati in ogni modo, civili in fuga presi di mira e adesso persino una delegazione diplomatica internazionale messa sotto tiro.

In nome della guerra a Hamas, per il governo israeliano qualunque mezzo sarebbe lecito, inclusi la punizione collettiva e lo sterminio per fame condannati dal diritto internazionale, ormai ridotto a pantomima giuridica.

Chiunque abbia qualcosa da obiettare non potrà che incorrere nell’infamante accusa di antisemitismo, in quanto Israele si definisce “Stato del popolo ebraico”.

A parte il fatto, risaputo e recentemente ammesso dallo stesso Netanyahu, che lo “Stato ebraico” ha sistematicamente finanziato (o lasciato finanziare) negli anni Hamas, nell’intento di contrastare l’influenza di Fatah e della Autorità nazionale palestinese, l’accusa di antisemitismo a ogni pie’ sospinto risulta sempre più una sorta di coazione a ripetere.

Un anno fa, in un intervento comparso sul quotidiano israeliano di opposizione Haaretz, si affermava:

«ci stiamo avvicinando al momento in cui il ricordo dell’Olocausto non impedirà al mondo di vedere Israele così com’è».

Ma, in Occidente, i tanti che pensano di cavarsela addossando gli “eccessi”, perpetrati dall’“esercito più civile del mondo”, esclusivamente ai diktat del ricercato per crimini di guerra – così qualificato dalla Corte penale internazionale – Netanyahu, o sono in malafede, o autorizzano un’interpretazione storica viziata e una serie di equivoci.

Si ravvisa, infatti, un vizio di forma nelle dichiarazioni degli stessi padri fondatori dello Stato di Israele quando, con lo slogan sionista “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, si obliterava la presenza della popolazione palestinese ivi residente, prefigurando un progetto di pulizia etnica ai danni di detta popolazione, manifestatosi poi con la strage del villaggio di Deir Yassin nel 1948 e la susseguente Nakba (750.000 esuli).

Tale stato di cose faceva osservare alla filosofa ebrea Hannah Arendt nel 1955: «[costoro] trattano gli arabi, quelli che si trovano ancora qui, in un modo che di per sé basterebbe a mobilitare il mondo intero contro Israele».

Contrariamente, non assistiamo a nessuno degli interventi che l’Occidente civilizzatore invoca in casi del genere o anche per molto meno: no-fly-zone, sanzioni ed embarghi contro il governo di Tel Aviv.

Chi protesta viene tacitato con la giaculatoria che recita «Israele ha diritto di difendersi».

Mentre un’apposita risoluzione dell’ONU sancisce che «un popolo occupato ha diritto di ribellarsi agli occupanti […] al fine di ripristinare i suoi diritti con tutti i mezzi a sua disposizione», la difesa di Israele è da sempre preventiva, non dimentica della dimensione mediatica.

Nel 2021 è stato approvato dal governo di quel Paese uno stanziamento di 25 milioni di euro con cui si indirizzano fondi a soggetti stranieri quali influencer, social media, stampa, organizzazioni di controllo sui media, al fine di diffondere propaganda filoisraeliana (hasbara), nascondendo legami diretti con l’istituzione finanziatrice.

Allo stesso tempo si opera per screditare le narrazioni che si oppongono al colonialismo dei settler e alla violenza sistemica, cercando di stipulare surrettiziamente i confini di un dibattito “ragionevole”.

Militarmente parlando, peraltro, i canali che non cessano di rifornire di armi l’entità sionista per imporre il suo dominio espansionista e coloniale sull’area mediorientale, si servono anche della disponibilità di porti come quello di Livorno, magari in prossimità di attracco con le navi che ospitano croceristi e vacanzieri, episodi denunciati con fermezza dai lavoratori USB della nostra città.

Quando, nel corso delle manifestazioni di questi mesi a sostegno della resistenza palestinese, si sente ripetere «Palestina libera dal fiume al mare», non si auspica l’eliminazione dello Stato di Israele in quanto tale, ma semmai il superamento dell’assetto giuridico-istituzionale che ha prodotto l’apartheid (come fu realizzato dal Sud Africa di Nelson Mandela).

Non per nulla sin dal 1947 Albert Einstein ebbe a dichiarare:

«sono favorevole a una Palestina libera e binazionale, a suo tempo, previo accordo con gli arabi».

Ma chi si sveglia ora, in maniera strumentale, quando misfatti e crimini si sono accumulati in quantità tale da rendere opportuna una presa di posizione e indice manifestazioni pro Gaza con un referendum a traino il giorno dopo, rimane complice e colpevole del silenzio e del genocidio del popolo palestinese.

Partito Comunista Italiano – Segreteria regionale Toscana

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