Maniac di Benjamín Labatut

a cura di Roberto Fiorini

 

Quando alla fine della seconda guerra mondiale John von Neumann concepisce il maniac – un calcolatore universale che doveva, nelle intenzioni del suo creatore, «afferrare la scienza alla gola scatenando un potere di calcolo illimitato» –, sono in pochi a rendersi conto che il mondo sta per cambiare per sempre.

Il capitolo iniziale del romanzo Maniac di Benjamín Labatut pubblicato da Adelphi editore con la traduzione di Norman Gobetti è un distillato perfetto della sua meravigliosa tecnica narrativa e potrebbe fungere da manifesto.

Una mattina del 1933, il fisico austriaco Paul Ehrenfest fa visita a suo figlio disabile, Vassily.
Ehrenfest ha vissuto una carriera folgorante, ma di recente è stato colto dalla disperazione.
Il nazismo è la minaccia più urgente, ma Ehrenfest è turbato anche da uno sviluppo meno tangibile: la rivoluzione quantistica, in particolare l’opera del prodigio ungherese John von Neumann.

Ehrenfest vive questo nuovo sviluppo teorico come una sorta di disfacimento del mondo che conosce, una nebbia di contraddizioni logiche, incertezze e indeterminazioni che si sente del tutto incapace di affrontare.

Dopo aver trasferito suo figlio ad Amsterdam, Ehrenfest lo ha protetto dagli orrori del regime nazista.

Ciò da cui non può proteggerlo, però, è il mondo quantico che sta arrivando, un mondo definito da una forma di intelligenza profondamente disumana, del tutto indifferente ai bisogni più profondi dell’umanità.

Perché quel congegno rivoluzionario chiamato Maniac – parto di una mente ordinatrice a un tempo cinica e visionaria, infantile e inesorabilmente logica – non solo schiude dinanzi al genere umano le sterminate praterie dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, ma lo conduce sull’orlo dell’estinzione, liberando i fantasmi della guerra termonucleare.

Che nell’anima della fisica si fosse annidato un demone lo aveva del resto già intuito Paul Ehrenfest, sin dalla scoperta della realtà quantistica e delle nuove leggi che governavano l’atomo, prima di darsi tragicamente alla morte

Inorridito da un futuro che considera inevitabile, Ehrenfest infatti spara a suo figlio, poi a se stesso.

Ehrenfest è un avatar per il vero obiettivo di The Maniac: il percorso delle idee di Von Neumann attraverso la teoria dei giochi, la bomba nucleare, il microprocessing e, in definitiva, l’intelligenza artificiale.

Svolgendosi in gran parte come una storia orale romanzata, The Maniac tenta un ritratto intellettuale non solo dell’uomo Von Neumann, ma del suo pensiero come forza nel mondo.

Attraverso capitoli apparentemente non connessi l’uno all’altro, un ensemble di narratori offre le proprie intuizioni frammentarie.

Dalla madre di Von Neumann apprendiamo com’era da bambino.

Dalle sue due mogli apprendiamo com’era a casa.

E attraverso una processione di colleghi e pari cogliamo il profondo significato (e l’ovvio fascino romanzesco) delle sue scoperte.

Sono sogni grandiosi e insieme incubi tremendi, quelli scaturiti dal genio di von Neumann, dentro i quali Benjamín Labatut sviluppo un racconto lucido e appassionato, lasciando la parola a un coro di voci: delle grandi menti matematiche del tempo, ma anche di familiari e amici che furono testimoni della sua inarrestabile ascesa.

L’autore si conferma uno straordinario tessitore di storie, capace di trascinare il lettore nei labirinti della scienza moderna, lasciandogli intravedere l’oscurità che la nutre.

Apparentemente svincolati dalle leggi della fisica che descrivono, le frasi spaziano liberamente nel tempo e nello spazio, collegando non solo personaggi ed eventi, ma il delicato tessuto della storia intellettuale, spesso con una leggerezza di tocco che smentisce la loro complessità di fondo.

Nella sua vita personale non poté sfuggire al lento e costante avanzare del suo disturbo mentale, che sembrava, come l’entropia dell’universo che aveva così meravigliosamente catturato nella sua equazione, essere in costante e irreversibile aumento, portando all’inevitabile casualità e decadimento” scrive Labatut.

Lo stile si espande ad ogni pagina quasi ad affermare il fisiologico, gonfiandosi fino a toccare il cosmico, trovandone una comunione inquieta tra i due.

Un romanzo brillante pieno di talento, ambizione, abilità ed intelligenza.

Un enigma termodinamico con tanta energia creativa.

Una riscoperta delle vite di tre grandi scienziati, Ehrenfest, von Neumann e Hassabis, partendo da una base di finzione che trova però sempre corrispondenza nella realtà.

Una straordinaria tela di storie, capace di trascinare il lettore nei labirinti della scienza moderna, lasciandogli intravedere l’oscurità che la nutre.

Il tutto con una scrittura dal ritmo irrefrenabile.

Per certi versi illuminante perché affronta un’epopea nella quale si mischiano scienza, vita, rapporti umani, visioni e futuro.

Ci ritroviamo a Los Alamos fra coloro che costruirono la prima bomba atomica.

E ancora a Princeton, nelle stanze dove vennero gettate le basi delle tecnologie digitali che oggi plasmano la nostra vita.

Infine, assisteremo ipnotizzati alla sconfitta del campione mondiale di go, Lee Sedol, che soccombe di fronte allo strapotere della nuova divinità di Google, AlphaGo.

Una divinità ancora ibrida e capricciosa, che sbaglia, delira, agisce per pura ispirazione – a cui altre seguiranno, sempre più potenti, sempre più terrificanti.

Una delle voci più forti del libro appartiene al fisico Richard Feynman, che rende la prima detonazione di prova con un linguaggio appropriatamente simile alla rivelazione divina: “il lampo era diverso da qualsiasi altra cosa. Quando mi colpì, ero sicuro di essere stato accecato. In quella prima frazione di secondo, non riuscivo a vedere altro che luce, una luce bianca e solida che riempiva i miei occhi e cancellava la mia mente, una terribile luminosità opaca che aveva cancellato il mondo intero“.

 

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